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Ogni azienda ha una sua storia, se sei Telepass ne hai due.
L’evoluzione dell’azienda dalla scritta gialloblu dagli anni ’90 a oggi: com’è cambiata Telepass dal transito autostradale ai servizi digitali, mentre cambiavamo anche noi. Ce lo racconta Veronica.
Iniziano così tutte le migliori storie che vale la pena di raccontare. Questa inizia negli anni ’90, su una qualsiasi autostrada italiana, esattamente a cavallo di Ferragosto. Le automobili sono in parte utilitarie e in parte station wagon, ma tutte sono accomunate dalla stessa caratteristica: i bagagli impilati a impedire la visuale del lunotto posteriore e a fare da coloratissimo cappello al tettuccio, in un precario equilibrio che solo i genitori di un tempo sapevano domare con sapienza.
Ricordo che quando ero piccola le vacanze iniziavano così. E solo quando si vedeva la lunghissima fila al casello si poteva davvero dire di essere altrove. Così, sotto il sole cocente, dopo ore di guida – nonostante l’immancabile partenza intelligente con sveglia del capofamiglia alle tre di notte – e con la prospettiva di un mare o una montagna preclusi per i restanti 11 mesi dell’anno, arrivava lei: la coda in uscita.
Era in quei momenti che noialtri automobilisti della domenica, cittadini in trasferta un mese l’anno, guardavamo quella scritta gialla e blu accanto al nostro casello, che sembrava la porta del Paradiso per chi la percorreva senza fatica e senza incolonnamenti.
E mentre il papà chiedeva alla mamma il thermos col caffè, alla seconda ora di coda, arrivava immancabile la domanda di qualcuno dal sedile posteriore: “papà, ma perché quelli passano e noi no?” e la relativa risposta: “Perché loro hanno il Telepass”.
Per anni il Telepass è stato quello strano congegno che avevano solo loro, i pendolari, quella strana categoria di lavoratori che percorreva talmente tanti chilometri ogni giorno da giustificare quello che a noi appariva senza dubbio come un lusso per pochi. E così è rimasto fino a quando non siamo diventati pendolari a nostra volta, andando a vivere fuori città: quando i pendolari siamo diventati noi, quel lusso ci pareva finalmente giustificato (manco a dirlo, da quel momento i viaggi per le vacanze estive sono diventate estremamente meno stressanti).
Quello che non sapevamo, all’epoca, era che Telepass era già diventato qualcosa di diverso da un lusso: ad esempio si poteva già pagare la sosta in alcuni grandi parcheggi che iniziavano a comparire in ogni città. Una rivoluzione, ma non era la sola: già, perché di lì a poco Telepass sarebbe diventato anche quella cosa che ti permetteva di pagare le strisce blu in città senza dover cercare ovunque un parcometro. Ci pareva un miracolo.Telepass è entrato nella nostra vita, e ci è rimasto negli anni, fedele compagno di viaggi e parcheggi. Sarà per questo che anche quando la famiglia è cambiata e qualcuno è tornato a vivere in città, siamo rimasti legati a Telepass anche quando è nata Telepass Pay, l’app-che-tutto-comprende: acquisto per i biglietti di treno e mezzi pubblici, pagamento della sosta, funzione memo per non dimenticare le scadenze dell’auto, persino la possibilità di prenotare la revisione o il lavaggio a secco dell’auto a domicilio.
E anche oggi, che in città si comincia a parlare sempre più di frequente di mobilità sostenibile, Telepass continua ad essere un punto di riferimento, semplificandoci ancora una volta la vita se vogliamo prendere un monopattino, uno scooter, ma anche se abbiamo bisogno di comprare i biglietti per metro e bus.
Non so se le prossime frontiere della mobilità ci porteranno a viaggiare su automobili volanti o a teletrasportarci da un luogo all’altro, ma, se ho imparato qualcosa da questi anni, posso dire con ragionevole certezza che Telepass sarà ancora lì, in una forma diversa da come oggi la conosciamo, pronta ancora una volta a renderci la vita il meno stressante possibile.